Cesare Cremonini ricomincia da Alaska Baby
Se il buongiorno si vede dalla prima canzone, iil nuovo album di Cesare Cremonini inizia nel migliore dei modi. Alaska Baby è un gran pezzo, grandioso in tutti i sensi, per il suo incipit, per i riferimenti alle distese e ai simboli d'America, per un sound vitale, originale, lontano dagli stereotipi della musica italiana contemporanea.
Non è un disco di transizione Alaska Baby, ma piuttosto un tassello definitivo, costruito su un impianto sonoro e creativo che tiene insieme il mondo dei Fab Four e dei Beach Boys con l'attitudine al groove, l'elettronica e le reminiscenze degli anni Settanta. Si va. dalla cassa dritta di Aurore boreali con Elisa a una ballad, Ragazze facili, con echi di Elton John e Billy Joel, destinata a diventare un classico. Con la partecipazione Mike Garson, il pianista americano noto per aver collaborato con David Bowie e Nine Inch Nails).
Cambio radicale d'atmosfera in Dark Room, uno pezzo, cupo dalla ritmica ipnotica ("la vita inizia adesso se muoio fa lo stesso"), che cresce, e cresce, fino a esplodere nel finale. La vetta dell'album. Le strade e l'universo bolognese fanno da sfondo a San Luca (con Luca Carboni), una pagina di poesia in musica, a conferma che Alaska baby è in buona parte un disco di belle canzoni. Un' eccezione rispetto al trend di questo tempo.
E così da San Luca si scivola in Un'alba rosa, un altro affresco in formato ballad piacevole e accattivante. Rispetto al trittico più ritmico ed elettronica dell'album (Streaming, Limoni, Il mio cuore è già tuo), sono decisamente preferibili il gioco di armonie beatlesiane (e battistiane) che riveste i tre minuti di Una poesia, e Acrobati, una magia per piano voce e archi (e ritmo nel finale) che chiude il disco e ritrae con efficacia il mestiere di artista: "Noi distesi, Senza scarpe ai piedi, Fogli bianchi appesi, Senza età...".
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