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«Il mio Kobe Bryant, un bambino come siamo stati tutti noi»

Il mio Kobe Bryant un bambino come siamo stati tutti noi
Christopher Goldman Ward racconta il suo amico diventato leggenda. A due dalla morte di Kobe Bryant un libro fa conoscere il giocatore quando era un ragazzo e racconto quanto di quel 12enne era rimasto nel campione Nba

«Ero in casa quel 26 gennaio 2020. In cucina, a cena con la mia famiglia. Era una serata normale. Ricordo tutto molto nitidamente – odori, colori e stati d’animo – fino a quel momento, alle 20.25, quando il mio telefono cominciò a impazzire di messaggi in entrata». A raccontare, in prima persona, è Christopher Goldman Ward è nato a Varese nel 1977 e a 11 anni ha conosciuto Kobe Bryant. La sera di cui parla è arrivato un messaggio sul telefono di tutti. Tutti a chiedere se era vero, se era successo veramente quello che arrivava come notizia ancora frammentaria dagli Stati Uniti: la morte di Kobe. 

«Il mio Kobe Bryant un bambino come siamo stati tutti noi»

Sul telefono di Christopher arrivano messaggi che sono di cordoglio perché chi lo conosce sa che lui è il migliore amico italiano del più grande giocatore di basket al mondo. Figlio di un americano e di un'italiana, cresciuto a Reggio Emilia negli anni in cui ci viveva anche la futura star della Nba, è rimasto sempre amico di quel ragazzino diventato leggenda. «Un’amicizia nata da bambini, quella fra Kobe e me, e che poi ha resistito superando gli anni e la distanza. Il ricordo non si ferma, ritorna forte, è un’emozione  che diventa quasi piacevole. D’ora in poi esisterà, per me e per molti, una vita pre-Kobe e una vita post-Kobe».

«Il mio Kobe Bryant un bambino come siamo stati tutti noi»

Racconta un'infanzia che sfocia nell'adolescenza questo libro. Racconta di ragazzini che giocano a basket, che vanno a scuola dalle suore, che fanno le gare con i videogiochi, le Olimpiadi alla Nintendo. Racconta anche di una leggenda. «Nel frastuono e nello stordimento di quei giorni assurdi, ricordo che l’unico balsamo per la mia anima era il riconoscimento dell’amore che il mondo provava (e prova) per Kobe. Per il mio amico. Le esternazioni pubbliche e private dimostravano una grande reazione comune di profonda tristezza e incredulità».

Non era mai lui a chiamare Kobe, non aveva nemmeno il numero. «Uno dei segreti della longevità della nostra amicizia sta proprio nel fatto stesso che non ci vedessimo o sentissimo regolarmente. Chi ha conosciuto Kobe lo sa: era un tipo particolare, fatto a modo suo. Si dice che non avesse amici e in un certo senso è vero: sono convinto che Kobe Bryant, il Black Mamba, non ne avesse. Kobe il reggiano, invece, ne aveva eccome. Ne aveva una, due, forse tre città piene». A tutti gli altri ha lasciato una filosofia di vita, una mentalità fatta di impegno perché tutti in qualcosa siamo come Kobe Bryant era nel basket, perfettamente inarrivabile.

Christopher Goldman Ward, Il mio Kobe. L'amico diventato leggenda, Baldini+Castoldi, Milano 2021

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