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L’omaggio di Morra al giornalista ucciso dalla mafia: “Peppino Impastato, rivoluzionario italiano”

Lomaggio di Morra al giornalista ucciso dalla mafia Peppino Impastato rivoluzionario italiano
Il 9 maggio 1978, giorno del delitto Moro, venne trovato anch’egli morto, solo dopo molti anni si saprà la verità sulla sua fine. Oggi lo ricorda il presidente della Commissione parlamentare antimafia

Il 9 maggio l’Italia non ricorda solo il ritrovamento del corpo di Aldo Moro, ma anche l’uccisione per mano mafiosa di Peppino Impastato. Quello stesso giorno del 1978, infatti, venne ammazzato anche il giornalista di Cinisi che aveva votato la sua vita alla lotto contro Cosa nostra, e in particolare contro Gaetano Badalamenti, il boss che viveva vicino alla casa della sua famiglia: i cento passi dell’omonimo film diretto da Marco Tullio Giordana. Il suo corpo venne fatto esplodere sui binari della ferrovia e subito si tentò il depistaggio sostenendo che Impastato si era suicidato gettandosi sotto il treno. Aveva 30 anni ed era in piena campagna elettorale, dopo essersi candidato al Parlamento con la Democrazia proletaria.

I cento passi di Peppino Impastato: il monologo dal film di Giordana

Anche l’opinione pubblica, complice il delitto Moro, non prestò particolarmente attenzione a quanto era successo in Sicilia. Solo molti anni dopo, grazie alle indagini portate avanti dai suoi amici, venne fatta luce – anche investigativa e giudiziaria – sulla vicenda; e lo stesso Badalamenti, «Tano Seduto», come lo chiamava Peppino dal microfono di Radio Aut, venne condannato come uno dei mandanti dell’omicidio.

Oggi il presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, ha voluto ricordarlo con un post su Facebook: «Morire da testimoni in un mondo che ti rifiuta e ti sacrifica: bello, rivoluzionario, enorme, ma triste. Ricordare eroi serve nella misura in cui aiuta a riconoscere le proprie colpe ed ad indicare nettamente il proprio dovere». E poi: «Non dimenticare significa anche non sottrarsi al dolore della memoria. Riconoscere di avere necessità di eroi significa aver coscienza di quanto ancora si debba fare. E studiare, perché se Peppino Impastato è oggi ricordato come uno dei pochi rivoluzionari italiani lo si deve alla sua volontà di capire, di analizzare, di studiare appunto». Ma anche all’impegno della mamma Felicia e del fratello Giovanni che hanno proseguito la sua battaglia e raccontato alle nuove generazioni la figura di Peppino, che è diventato un simbolo della sinistra antimafia.

Un altro esponente del M5S come Francesco d’Uva ha voluto portare la sua testimonianza: «Quella di oggi a Cinisi sarà una piazza virtuale, ma non per questo meno partecipata. Arriverà ugualmente il segnale forte di un mondo antimafia unito e compatto anche a distanza. Insieme, faremo ancora un passo avanti contro le mafie». 

Anche  il senatore Leu ed ex magistrato, Pietro Grasso, accanto al ricordo per Aldo Moro, ha un pensiero per Impastato: «Vollero farlo passare come terrorista, ma Peppino era un giornalista che con ironia smascherava i traffici di boss e politici, un militante di sinistra, un siciliano che sognava la sua terra libera dalla mafia. Le vite e le vicende che ricordiamo oggi (il riferimento è alle vittime del terrorismo, ndr) sono storie di libertà, amore per il Paese, responsabilità. Storie che ci indicano che i valori alla base della nostra democrazia sono gli unici che possono guidare, ieri come oggi, le scelte di ciascuno di noi per il bene comune».

A ricordarlo c’è anche la Cgil di Palermo: «Quest'anno in maniera ancora più intensa si intende esprimere ai familiari di Peppino Impastato e alle associazioni della società civile che continuano la sua battaglia tutto il sostegno del mondo del lavoro. I problemi del lavoro, della disoccupazione, della crisi, sono e restano più urgenti di prima, l'emergenza sanitaria ha contribuito a farli emergere e a porli al centro dell'attenzione».

«Peppino – dice don Luigi Ciotti, presidente di Libera – è per tanti, soprattutto giovani, simbolo di un impegno contro le mafie, la corruzione, le ingiustizie. Simbolo senza confini, vista la dimensione nazionale e internazionale assunta ormai dal crimine organizzato. La sua è però una memoria esigente, che non può fermarsi ai discorsi e alle celebrazioni retoriche. Tanto più che una delle grandi intuizioni di Impastato è stata usare l'arma della satira contro la mafia e contro la politica che con la mafia faceva e fa affari. Una scelta dirompente, all'epoca, nata da chi il codice di valori mafioso lo conosceva molto bene, dall'interno, e sapeva che ai cosiddetti "uomini d'onore" la denuncia di violenze e malefatte fa spesso il solletico, mentre la messa alla berlina dei loro atteggiamenti, delle loro manie di grandezza, del loro prendersi molto sul serio suona come il peggiore degli affronti». Il nome «Impastato» – dice ancora don Ciotti - «significa giustizia, bellezza, sogno. Ma soprattutto quella parola che le riunisce tutte: libertà. Libertà dal conformismo e dalla rassegnazione, libertà dai compromessi complici delle mafie».

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