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Vermiglio, recensione del film in Concorso al Festival di Venezia 2024

Vermiglio recensione del film in Concorso al Festival di Venezia 2024
La seconda opera della regista è stata presentata alla Mostra del cinema lunedì 2 settembre e sarà nelle sale cinematografiche dal 19 settembre

Vermiglio, il film di Maura Delpero al Festival di Venezia 2024: un’opera illuminante e piena d’anima, che trasuda d’esperienza, memoria collettiva e gli echi di Ermanno Olmi

La forza di un film sta nella sua storia, nell’origine dell’idea, di un concetto, ma anche del caso, talvolta. Maura Delpero, ottima regista, sceneggiatrice e produttrice nata a Bolzano, qui al secondo lungometraggio dopo Maternal, è partita da un sogno, quello del padre scomparso, un evento triste e personale, che però le è apparso sotto forma di un bambino di sei anni. Un segno, una guida (in)consapevole, a cui ha dato retta nel perseguire questo racconto, fatto di famiglie, persone, luoghi, ricordi.

Vermiglio, secondo film italiano in concorso al Festival di Venezia 2024 (sarà in sala dal 19 settembre distribuita da Lucky Red) ci riporta sul finire di un conflitto, come già successo in Campo di battaglia di Gianni Amelio, ima n questo caso della Seconda Guerra Mondiale. Un paese, nel Trentino, che qui diventa oltremodo rifugio, approdo, connessione, non solo l’omaggio di una figlia ad un papà e al suo luogo natale.

Vermiglio recensione del film in Concorso al Festival di Venezia 2024

Vermiglio, recensione del film

Siamo nel 1944. La guerra è presente, anche se non la si vede, eppure se ne percepisce l’impatto, la forza, l’atrocità. Ad avvicinare ulteriormente Vermiglio a questa consapevolezza è l’arrivo di un soldato ferito, che si ripara proprio lì. È un evento inatteso, e che sconvolge, rompendo, la quotidianità dei locali, e di un insegnante in particolare (interpretato da Tommaso Ragno) e della sua famiglia, con una delle due figlie, la maggiore, che poi, in ogni caso, gradualmente, se ne innamorerà, e lo vorrà addirittura sposare. Intorno a tutto, c’è un microcosmo che si evolve, i bambini (che si vedono) sono un coro”, dice la regista, come le tragedie greche”. Nei loro occhi si percepisce quanto il momento storico che vivono gli abbia strappato di fatto l’infanzia, chi non ha più i genitori, o il padre.

Sono creature innocenti, private di una forma innocenza, impauriti dal dover crescere troppo in fretta. La guerra, poi, è un fuori campo, un effetto che influenza ciò che accade in quel momento, e che lentamente osserviamo nei dettagli, nelle donne, negli uomini, è qualcosa di onnipresente che scombussola, genera caos, contraddizioni.

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