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L'omicidio di Serena Mollicone, il caso del delitto di Arce irrisolto da 20 anni: il giallo della 19enne e del brigadiere Santino Tuzi - Il Riformist

Lomicidio di Serena Mollicone il caso del delitto di Arce irrisolto da 20  anni il giallo della 19enne e del brigadiere Santino Tuzi  Il Riformist

Serena Mollicone sarebbe entrata nella caserma dei carabinieri e non ne sarebbe più uscita viva. Il caso è irrisolto, da oltre vent’anni, e noto come il “delitto di Arce”, comune di appena seimila abitanti in provincia di Frosinone, nel Lazio. Sconvolgente: perché in una piccola comunità, di quelle dove tutti si conoscono, e perché dopo centinaia di testimonianze e aperture e chiusure delle indagini, e analisi di Dna e altre tracce, ancora non ha una soluzione. La vittima era una ragazza di 19 anni, una studentessa modello. La sua tragica vicenda ancora avvolta dal mistero sarà al centro di una puntata speciale de Le Iene, trasmissione di Italia 1, scritta da Alessia Rafanelli e presentata da Veronica Ruggeri.

Il processo sul caso è tutt’ora in corso. Rinviati a giudizio l’ex maresciallo dei carabinieri Franco Mottola, ai tempi dell’omicidio comandante della stazione di Arce, la moglie Annamaria, il figlio Marco, il sottufficiale all’epoca dei fatti Vincenzo Quatrale, l’appuntato Francesco Suprano. I tre membri della famiglia Mottola e Quatrale sono accusati di concorso in omicidio, Quatrale anche di istigazione al suicidio, Suprano di favoreggiamento. Per il pm Beatrice Siravo, la ragazza sarebbe stata aggredita nei locali della caserma, poi assassinata altrove. Tutti gli imputati respingono fermamente le accuse.

Il delitto di Arce

Era il giugno del 2001 quando Serena Mollicone veniva trovata morta in un bosco. Aveva 19 anni, studiava a Sora, ultimo anno dell’Istituto psico-pedagogico Vincenzo Gioberti, e aveva un fidanzato, Michele Fioretti. Aveva perso la madre qualche anno prima. Il padre, Guglielmo, insegnante. Il primo giugno 2001 aveva preso un pullman per andare all’ospedale di Isola Liri per una radiografia. Quindi tornò ad Arce prima di sparire nel nulla. Il padre, maestro elementare, si rivolse alla stazione dei carabinieri. Il corpo venne trovato in un bosco, a otto chilometri da Arce, due giorni dopo da alcuni volontari.

Il cadavere era coperto di foglie e arbusti, mani e piedi legati da fascette, la testa in una busta di plastica, nastro adesivo sulla bocca. Era morta per asfissia, come provò l’autopsia. Le stranezze cominciarono con le perquisizioni a casa di Mollicone: tre giorni dopo venne trovato il telefono della vittima in un cassetto che però i carabinieri già avevano aperto. Rinvenuta anche una piccola quantità di hashish e in rubrica il numero 666 associato al nome “Diavolo”. La pista satanica fu subito scartata: con molte probabilità era un depistaggio.

Altra stranezza, ancora più grottesca: durante i funerali i carabinieri entrarono in chiesa e chiesero al padre di Mollicone di seguirlo in caserma per firmare il verbale del ritrovamento. Un carrozziere, Carmine Belli, venne arrestato e accusato dell’omicidio: dopo 18 mesi in carcere è uscito assolto, completamente pulito, in tutti i gradi di giudizio. Dopo due anni che le indagini erano state ferme emerse che Mollicone aveva più volte espresso la volontà di denunciare Marco Mottola, figlio del comandante dei carabinieri: era assurdo oltre che gravissimo che vendesse hashish e che utilizzasse la caserma come base.

Il brigadiere Santino Tuzi, nel 2008, riferì di aver visto Mollicone entrare in caserma il primo giugno 2001 e di non averla più vista uscire. Tre giorni dopo ritrattò tutto. Tuzi fu ritrovato morto a bordo della sua automobile: in petto il foro mortale causato dalla sua Beretta di ordinanza. Dalla pistola però mancavano altri due colpì. Per l’autopsia fu suicidio. La figlia Maria Tuzi non ha mai creduto a tale versione. Con l’accusa di istigazione al suicidio è indagato Vincenzo Quatrale, ora maresciallo.

Dopo la tragedia di Tuzi la Procura si concentrò quindi sulla caserma dei carabinieri. Il gup Angelo Valerio Lanna nel febbraio 2005 si oppose all’archiviazione dell’indagine che indagava il maresciallo Mottola, il figlio Marco e il brigadiere Suprano. Mottola era considerato, secondo anche quanto ricostruito in un lungo articolo de Il Post sulla vicenda, un po’ come il leader di un gruppo di ragazzi battezzato come “Gruppo Fantastico” che si trovavano presso i locali della caserma dei carabinieri, soprattutto quando i genitori erano fuori per il fine settimana, dove avrebbero fatto uso di droghe leggere, come ribadito più volte anche in aula.

Le conclusioni dei Ris, nel 2018: Mollicone era svenuta in seguito a un colpo nella caserma di Arce e successivamente venne uccisa. Il gip nel luglio 2020 ha rinviato a giudizio le cinque persone oggi sotto processo. L’ipotesi degli inquirenti: Mollicone era andata in caserma quel giorno per affrontare Marco Mottola, tra i due sarebbe scoppiata una lite, quindi sarebbero intervenuti i genitori e Quatrale.

Il mistero di Santino Tuzi

Il caso è continuato con marce avanti e indietro. A riportare alta l’attenzione sul caso nuove testimonianze emerse e raccolte nei mesi scorsi. L’intercettazione con la voce di Santino Tuzi, brigadiere dei carabinieri, e quella della sua amante Anna Maria Torriero, è stata ascoltata in Corte d’Assise del tribunale di Cassino la settimana scorsa: “Sono stato chiamato per motivi di lavoro”, dice lui; “Che è successo? Per cosa ti hanno chiamato? Per la questione dei colleghi o quella della ragazza?”, chiede lei; “La ragazza”. Torriero si è detta comunque all’oscuro di dettagli o altri aspetti che potrebbero far luce sulla vicenda pur ammettendo di aver visto diverse volte Mollicone uscire dalla caserma di Arce.

Quella donna mente. Sa molte più cose di quanto voglia far credere. Ci ha costretti ad ascoltare aspetti della vita intima con nostro padre che sono stati laceranti. Avrebbe dovuto, se non altro per umana pietà, dire la verità. Mio padre è morto ma non merita di essere oltraggiato come sta accadendo in questo processo”, dice la figlia del carabiniere Maria Tuzi che sostiene che il padre fu abbandonato da tutti e isolato, quindi indotto al suicidio. “Tra poco ti faccio sapere dove devi portare le rose”, le ultime parole che avrebbe detto il carabiniere all’amante.

Giornalista. Ha studiato Scienze della Comunicazione. Specializzazione in editoria. Scrive principalmente di cronaca, spettacoli e sport occasionalmente. Appassionato di televisione e teatro.

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