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Cesa, dalla Dc a Berlusconi. La parabola di un mercante di potere

Cesa dalla Dc a Berlusconi La parabola di un mercante di potere
Gli esordi nello scudocrociato, i guai giudiziari, la trasmigrazione nel centrodestra. Per qualche giorno ha anche avuto tra le mani il destino del governo Con…

Fa ancora più impressione, oggi, pensare che per qualche giorno i destini d'Italia sono stati in mano a Lorenzo Cesa, che conosce tutti, parla con tutti, a tutti promette qualcosa, ma poi si fa i fatti suoi. Anche questa volta deve aver lasciato intravedere se stesso e il simbolo ormai stilizzatissimo dello scudo crociato al presidente Conte, per poi negarsi, però magari in futuro, da cosa nasce cosa, mai dire mai, eccetera.

La politica in genere è noiosa, ma ha sempre i suoi lati curiosi, per cui è probabile che gli abbiano offerto il ministero della Famiglia, amministrazione invero piuttosto misteriosa, ma che nel caso di Cesa avrebbe permesso di rievocare non solo l'importanza che nella sua vita ha assunto la sua, di famiglia - il papà roccioso e longevo sindaco di periferia, la moglie e il figlio coinvolti nei cospicui e sempre più vasti interessi di casa - ma anche l'unica e indimenticabile uscita che gli attirò l'attenzione del vasto pubblico.

E dunque: quando nella primavera del 2007 un deputato dell'Udc, il pugliese Cosimo Mele, fu pizzicato all'hotel Flora con due escort, la cocaina e una di loro, soprannominata “Porcahontas”, si sentì male, ecco che per cavarsi d'impaccio, Cesa non trovò di meglio che proporre, contro simili incidenti, la soluzione del ricongiungimento famigliare, appunto, con il che si sarebbero potute utilmente ospitare a Roma, a spese dello Stato, le mogli dei parlamentari in trasferta in modo da non farli sentiti soli e cadere in tentazione.

Ora, le accuse di giornata assumono un rilievo meno divertente. E tuttavia, a conoscerlo e rivederlo di persona, l'aria sardonica accentuata dall'occhio un po' da pesce, è difficile immaginare Cesa stringere patti con gente sanguinaria. O almeno: trenta e più anni fa, era il classico ragazzo democristiano del paese profondo, l'elevata Arcinazzo, là dove la campagna romana s'inerpica verso la Ciociaria, per vocazione e tratto genetico affiliato alla corrente dorotea, a denominazione lazial-petrucciana, poi una volta nella capitale apprendistato presso la prestigiosa bottega di Toni Bisaglia e in seguito alla morte di questi esperienza di portaborse di Prandini, che era un tipetto molto svelto e intraprendente, anzi troppo. Per cui nel crudo frangente di Mani Pulite il giovane Lorenzo dovette pagare il suo tributo alla fedeltà e venne arrestato per bustarelle Anas - ma poi prescritto.

Altre volte ha avuto a che fare con la giustizia, sempre prosciolto. E' un uomo dal buon carattere, resistenza tipo caucciù. Alieno dall'apparire, diffidente rispetto a lustrini, coriandoli, fumogeni, poche letture, niente discorsi, zero tv. Grande organizzatore, piuttosto, ottimo gregario e uomo-ombra, misuratore e stratega del fatturato elettorale, scienza e intuito del rendimento voto per voto, seggio per seggio, la politica come arte di mescolare le promesse e gli interessi senza andare troppo per il sottile, tutto fa brodo nell'eterno underground del consenso senza aggettivi.

E tuttavia quando si sente dire “Ah, ci fossero i democristiani!”, basta pensare a Cesa e l'entusiasmo si spegne, la nostalgia si ridimensiona. Perché quella sua grigia capacità elettorale rischia di farsi fantasmagorica nel campo degli affari. Fra i due ambiti, tanto più nel tempo del grande disincanto, il confine è mobile, incerto, rarefatto; ma se i voti fanno i soldi, i soldi fanno i voti. Così viene da pensare che sarebbe stato, anzi in qualche modo è stato un buon imprenditore o impresario di se stesso, là dove il doppio ruolo di eurodeputato e segretario di un partitello di maggioranza ormai autonomo perfino da Pierfurby Casini ma senza averci litigato, facilita senz'altro le cose.

Compreso che la comunicazione rende, fonda una società, Global Media, che “fa eventi”: convegni, pubbliche relazioni, service, lobby; poi la vende e ne perfeziona un'altra, dal nome più pretenzioso, “I Borghi”, che arriva a gestire l'Auditorium. Sia nell'uno che nell'altro caso, i clienti sono quasi sempre enti che con la politica hanno parecchio a che fare: Sip, Anas, Enel, Alitalia, Finmeccanica, poi comuni, province, regioni con i loro sterminati circuiti meta-clientelari. Poi cede anche i “Borghi” e sempre più si accosta a Berlusconi, benigno imperatore di tutti i mercanti del potere.

Ma senza sfarzo, in mesta penombra post-clientelare. Nel profilo Instagram, alimentato senza fantasia, perennemente in cravatta fra modeste torte, banchetti all'antica e le immancabili Frecce tricolori, Cesa celebra il ricordo dell'ultima campagna elettorale in Calabria. Insieme e con il suo amico e uddiccino Franco Talarico, oggi agli arresti, si fa un selfie su sfondo marino; e dispiega il faccione in una specie di sorriso che si direbbe innocente, si direbbe imprudente, si direbbe l'enigma sfuggente del potere che un giorno va e l'altro no.

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