Edoardo Bennato in concerto a Bergamo: «Il rock è la sola bandiera»
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Il cantautore: mi piacciono i Maneskin, il rock è anche uno stile di vita, ai ragazzi dico di suonare dal vivo. E sui talent: non avrei il coraggio di dire tu sì e tu no
Quasi tre ore di energia, tra rock, blues, musica elettronica e l’inconfondibile stile cantautorale di Edoardo Bennato che, mercoledì, alle 21, al Creberg di Bergamo. L’artista napoletano ripercorrerà quarant’anni di carriera, dai brani di «Non farti cadere le braccia», il suo primo album del 1973, fino a «Non c’è» del 2020.
Edoardo, parliamo del singolo «Non c’è». Nel video, in stile cartoon, un ragazzo suona per strada davanti al Teatro dei Talent e non entra per cercare la fama. È un pezzo autobiografico?
«Decisamente no. Io ho inseguito e, per fortuna raggiunto, il successo, ho lottato e fatto anni di gavetta per averlo. Invece quel ragazzo non vuole il successo, o meglio, non è disposto a scendere a compromessi. Suona la sua musica, ottima, ma si tiene alla lontana da gatti e volpi, dai talent e forse anche dalla rete che ha portato a fruire delle canzoni con mezzi che, detto tra noi, hanno ben poco a che fare con la musica. In fondo, lo invidio, è un artista puro».
Anche lei ha iniziato suonando per strada a Londra.
«A Londra ho visto per la prima volta delle one man band e quando tornai mi costruii il tamburello a pedale. Mi è stato utile al Teatro delle Vittorie vicino a un bar, dove sapevo che erano stanziali molti opinion leader della radio. Suonai dei pezzi proto-punk, “Salviamo il salvabile”, “Ma che bella città”, “Uno buono”. Mi notarono e mandarono a un festival di tendenza a Civitanova Marche. C’erano molti di quelli che sarebbero diventati il gotha del cantautorato italiano, del calibro di Battiato, Lolli, Rocchi. Ero un signor nessuno. Ma la mia vita cambiò perché chi contava in quel settore aveva deciso che potevo essere il rappresentante ideale dell’insoddisfazione giovanile».
Le hanno mai proposto di fare da giudice in un talent?
«Si, ma non sono tagliato per quel ruolo. Non avrei il coraggio di dire: “tu sì, tu no”. Fare il capo del personale non mi si addice».
Si dice che il rock è morto (a favore di rap e trap). I Maneskin hanno dimostrato che non è così, raggiungendo risultati grandiosi.
«Mi piacciono molto i Maneskin. Il rock non è solo uno stile musicale, ma una filosofia di vita, è il tentativo di andare in direzione ostinata e contraria per denunciare i paradossi, i luoghi comuni, le schizofrenie che appartengono alla nostra società».
In «Maskerate» attacca una società falsa che ci vuole omologati dal potere. Nel 2021 esistono ancora gli «impresari di partito» che citava in «Sono solo canzonette»?
«C’è sempre stato un tentativo della politica di utilizzare il cantante famoso da esibire dall’una o dall’altra fazione in campo. Per quanto mi riguarda io sventolo una sola bandiera: quella del rock».
Lei è stato il primo tra gli italiani ad approdare a San Siro, nel 1980, per un concerto davanti a 70.000 persone. Qual è il segreto della sua carriera?
«Non credo ci sia una formula. Invece, una componente molto importante è la fortuna o il caso se si vuole. Certo contano il lavoro duro e costante, la determinazione individuale, la bontà delle materie prime (le canzoni), anche se ho conosciuto tanti artisti molto bravi che non sono riusciti ad avere il successo che meritavano».
Il suo consiglio per i giovani artisti?
«L’unico è cercare di suonare il più possibile dal vivo, non importa quanta gente ci sia: l’importante è come le persone vanno via d
27 novembre 2021 (modifica il 27 novembre 2021 | 12:09)
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