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Mamba Revolution. Un omaggio a Kobe Bryant

Mamba Revolution Un omaggio a Kobe Bryant
Oggi Kobe Bryant avrebbe compiuto 45 anni: ripercorriamo nel tempo ciò che questo spettacolare essere umano ci ha insegnato col suo esempio e con una mentalità peculiare
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L'orgoglio di Kobe con la maglia USA. Foto Getty.

Kobe Bryant è stato uno di quei personaggi che possono capitare ogni 70-80 anni, il classico one of a kind. Un individuo "speciale" nel suo modo di vivere quella che è stata la sua arte: il gioco della pallacanestro (per quel che il fato ci ha concesso di testimoniare). E oggi, nel giorno in cui questo gigante dello sport - tragicamente scomparso tre anni fa - avrebbe compiuto 45 anni, ci sembra doveroso rendergli omaggio.

La carriera sportiva, in breve

Kobe Bryant cresce figlio d'arte (il padre è Joe Bryant, ex cestista e allenatore statunitense) in Italia, tra Reggio Emilia e Pistoia, Rieti e Reggio Calabria. Da teenager torna negli USA e viene selezionato dai Charlotte Hornets ad appena 17 anni e subito dirottato a Los Angeles, versante Lakers.

Kobe cresce tifoso gialloviola e sfrutta a piene mani la possibilità di vestire i suoi colori preferiti: 20 anni di amore incondizionato, con litigi anche forti, ma sempre con la consapevolezza di essere una cosa unica.

Cinque titoli NBA, due ori Olimpici, diciotto volte All Star, una volta MVP della Stagione Regolare, quattro all'All Star Game e due dei Playoffs, miglior realizzatore della storia della franchigia e numerosissime altre "accolades", come le chiamano negli Stati Uniti. Sul campo uno dei profeti più illustri del gioco, in chiara discussione quando si parla di GOAT del basket.

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Kobe in azione con i Lakers alle NBA Finals del 2000.

La Mamba Mentality

Kobe sotto ai tabelloni viene fin da giovane soprannominato "Black Mamba", un serpente che popola la fascia centrale dell'Africa ed è considerato tra i più pericolosi e letali al mondo. Analogamente, Kobe è fulmineo, non lascia scampo al suo avversario e più riesce ad annichilire le sue vittime più è contento.

Ma tutte queste conquiste sul parquet e questo suo modo di interpretare il gioco sono figli di un mindset decisamente fuori dal comune: la Mamba Mentality. "Mamba mentality significa sempre puntare al massimo e guardare avanti; il punto focale è la curiosità che ognuno di noi deve avere dentro, focalizzata su come poter migliorare, sulla ricerca delle diverse vie per il successo, sul desiderio di aspirare sempre al massimo" queste le parole con cui la spiega lui stesso.

Lui aveva deciso fin da bambino che lo scopo della sua vita sarebbe stato il basket e fin da subito ha dedicato più tempo rispetto ai suoi amici e coetanei allo studio e all'approfondimento della sua disciplina, sviluppando nel corso della sua carriera una mentalità che lo ha reso uno dei giocatori più forti e vincenti della storia del gioco. Una mentalità che però gli ha portato risultati fuori dal comune anche nella sua vita fuori dal campo.

Quando ha deciso di smettere di giocare lo ha fatto con una magnifica lettera d'amore per la pallacanestro pubblicata sul The Players' Tribune nel Novembre 2015; uno dei primi progetti che ha intrapreso una volta appesa la canotta al chiodo è stato quello di creare un cortometraggio, nel ruolo di autore e produttore (help!), mettendo in video la sua lettera d'amore. Dear Basketball vince nel 2018 l'Oscar come Miglior Cortometraggio d'Animazione. Come detto, la Mamba Mentality funziona non solo nel basket.

Come si manifesta la Mamba Mentality

L'etica del lavoro è alla base di questo mindset e Kobe ne aveva letteralmente da vendere, fatto dimostrato per tutto il corso della sua carriera. Aveva una routine di allenamento sui generis caratterizzata da sveglie che non vedevano mai la luce del sole, due-tre quotidiani allenamenti, e studio intensivo degli schemi e di come utilizzarli in partita.

Il sistema utilizzato da Phil Jackson prima con i Bulls di Jordan e poi coi Lakers di Kobe è uno dei più complessi perché si basa sulla capacità dei giocatori di "leggere" il gioco; Kobe Bryant non solo conosceva gli schemi di tutti e cinque i ruoli, ma interrogava i compagni fermando le partitelle d'allenamento.

Qui viene fuori un altro aspetto della Mamba Mentality: la leadership. Quando si aspira al meglio si punta alla leadership, e KB24 ha sempre dimostrato di avere un'idea del ruolo che fa dell' essere esempio per gli altri il suo cardine, in un clima di continuo stimolo al miglioramento. Kobe richiedeva l'impegno dei compagni dimostrando di essere il primo a dare tutto se stesso per il risultato. Ha giocato con e su infortuni tali che una persona normale necessiterebbe una barella o una sedia a rotelle (come si vede nel video qui sotto), dando l'esempio di cosa fosse disposto a sopportare per raggiungere il massimo.

L'incapacità di lasciare qualcosa di intentato è una cosa che ha contraddistinto Kobe Bryant, che per vent'anni ha fatto sacrifici su vari livelli. Uno su tutti, come abbiamo accennato, quello fisico: ha giocato con dita steccate, tendini rotti, si è rotto il naso, insomma ha pagato una bella tassa; per non parlare di quello relazionale: con una routine del genere per più di 45 settimane all'anno non resta tanto tempo per amici e famiglia, considerando anche i dieci mesi di basket giocato che fanno girare parecchio i giocatori, tenendoli anche molto tempo lontani da casa.

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Credo che questa mentalità abbia molti aspetti in comune con training mentali che hanno preso piede soprattutto negli ultimi anni - come la Mindfulness - e che esso ne sia una versione "estrema". Alla stessa maniera credo che, analizzando la Mamba Mentality e facendone propri alcuni aspetti, non necessariamente al limite come Kobe, questa possa avere un twist positivo sulla vita di ognuno di noi.

Se parliamo del retaggio che Kobe Bryant ci ha lasciato, questa parte psicologica potrebbe rivelarsi il vero cuore del discorso: oltre lo sport, oltre la tecnica, oltre tutto.

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