Malgioglio e i bambini da salvare: “Mi tuffo oltre il cuore, nel mistero” - Calcio - La Repubblica
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PIEVE PORTO MORONE (PAVIA) – Titone e Tatina camminano insieme. Lui è grosso e ha i baffi, lei è piccola e non vede, non parla. Tatina si appoggia al petto di Titone e segue il suono della sua voce tendendo le mani. Un minuscolo passo, poi un altro, sopra un pavimento imbottito di materassi verdi che sembra un giardino. Titone veramente sarebbe Tito, che è più semplice di Astutillo, il suo vero e bizzarro nome. Astutillo Malgioglio, 63 anni, ex portiere, uno scudetto all’Inter come vice di Zenga, una carriera tra Bologna e Brescia, Roma e Lazio, Pistoiese e Atalanta. Invece Tatina è Ester, 15 anni, cerebrolesa grave. Ma l’unica cosa grave è non amare.
Tito cominciò ad aiutare i bambini distrofici quando ancora giocava a calcio. «Mi capirono in pochi, non importa». Aprì una palestra a Piacenza, quarantaquattro anni fa, poi dovette chiuderla: non voleva far pagare nessuno. Da più di vent’anni va a casa dei ragazzi malati insieme alla moglie Raffaella, gratis, e fa con loro psicomotricità. Il 29 novembre il presidente Mattarella lo insignirà dell’Ordine al Merito della Repubblica. «Mi manderanno una mail per dirmi cosa fare e come vestirmi».
Dentro un orizzonte di prati c’è Pieve Porto Morone, nella campagna pavese dove morì Brera, che è sepolto a cinque minuti da qui, a San Zenone Po. Le case sono basse, gialle e rosa. Ci sono aie, una farmacia, un negozio di tosaerba, un altro di vestiti eleganti, il Bar Centro e non pochi cortili. Il silenzio è grande. Per arrivare da Ester si sale una scala nella penombra, va su prima Tito. Lei è sul divano tra i cuscini, esile come un ramo. Nacque senza tre quarti del volto, che ora è ricostruito dopo tante operazioni. Gli occhi, due protesi oculari, sono azzurri. Nella stanza ci sono anche la mamma e Rosella, che è una specie di insegnante di appoggio ma è molto di più, è l’altra voce guida. Tito accarezza Ester, le parla sottovoce, poi le porge le mani.
«Tataaa, andiamo, in piedi, dài dài dài, c’è qui il tuo Titone, vieni con me». La ragazzina dondola il capo, l’uomo le prende le dita, come un canto leggero è la sua voce, una carezza in questo bellissimo vuoto. «Giù, brava, molto molto bene». Ester si china verso Tito, lo abbranca, «non mordermi eh!», poi gli appoggia il viso dalle parti del cuore e sì, alla fine morde il Titone. «Ecco, lo sapevo, la mia piccolina ha fame».La stanza ha una finestra che dà sulla strada. Oggi il tempo è grigio. Sulle mensole, fotografie di Ester piccola e di sua sorella. Ci sono angioletti, quaderni, un ricettario, una natività di terracotta.
Tito e Rosella circondano Ester e non smettono mai di parlarle, in questo incontro che durerà mezz’ora e che per la ragazzina è così faticoso ma così importante, perché permette al suo corpo di non fermarsi e alle sue orecchie di captare qualcosa del mondo, e il bene che a volte stringe forte le persone e il loro dolore, e le nostre miserie. «Prima di incontrare Astutillo, mia figlia non riusciva quasi a muoversi. Quando lui arrivò un mattino, sette anni fa, entrò e chiese soltanto: dov’è? Poi le si tuffò addosso. Pensavamo fosse un matto, invece era un angelo». Appoggiando a terra materassini più piccoli, ora Rosella crea un ostacolo che Ester dovrà superare, è il prossimo esercizio. Tito sta davanti alla bambina. «Siii, andiamo avanti Tata, c’è il gradino, ascolta bene: il gradino». Ester si blocca, come in allarme. Dura un attimo, poi si abbandona ancora alla morbidezza della voce amata. «Oh, ma Titone adesso non ti aiuta: Tata, solleva la gamba, oggi il tuo Titone è cattivo da matti!» Un piede, poi l’altro nel viaggio verso la Luna. «Ma questa è stata bellissima veramente, Signore mio!». Infine la abbraccia, guancia contro guancia.
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