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Roma. Meloni è indagata per il caso Almasri. «Non sono ricattabile»

Roma Meloni è indagata per il caso Almasri Non sono ricattabile
Tutto nasce da un esposto dell'avvocato Li Gotti. Sotto indagine pure il sottosegretario Mantovano e i ministri di Giustizia e Interno, Nordio e Piantedosi, che rinviano l'informativa alle Camere.
Lo screenshot del video in cui Meloni mostra l'avviso di garanzia

Lo screenshot del video in cui Meloni mostra l'avviso di garanzia - Ansa

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«Vale oggi quello che valeva ieri. Non sono ricattabile, non mi faccio intimidire. Ed è possibile che per questo sia invisa a chi non vuole che l'Italia cambi e diventi migliore», ma «intendo andare avanti per la mia strada» a «testa alta e senza paura». Sono da poco scoccate le cinque di sera, quando la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in un breve video diffuso sui propri canali social, mostra la comunicazione appena ricevuta dalla Procura di Roma, che l’avvisa dell’iscrizione nel registro degli indagati per le ipotesi di reato di favoreggiamento e di peculato, in relazione al rimpatrio in Libia del comandante della prigione di Mittiga, Osama Njeem Almasri, trasportato a Tripoli da un jet Falcon in uso all’intelligence italiana il 21 gennaio scorso. Nel video, la premier mostra il foglio della comunicazione giudiziaria. Il suo tono è deciso. E non risparmia frecciate: «La notizia è questa. Il procuratore della Repubblica Lo Voi, lo stesso del - diciamolo - fallimentare processo a Matteo Salvini per sequestro di persona - incalza - mi ha appena inviato un avviso di garanzia per i reati di favoreggiamento e peculato in relazione



alla vicenda del rimpatrio del cittadino libico Almasri», ricercato per crimini di guerra e contro l’umanità dalla Corte penale internazionale dell’Aia, che ha chiesto spiegazioni alle autorità italiane. Un avviso che, prosegue Meloni, non riguarda solo lei, ma è stato inviato anche ai ministri della Giustizia e dell’Interno, Carlo Nordio e Matteo Piantedosi, e al sottosegretario Alfredo Mantovano, autorità delegata per la Sicurezza della Repubblica.

L’esposto di Li Gottie la versione della premier

In base a quanto rende noto la presidente del Consiglio, l’indagine ha preso le mosse da una denuncia «dell’avvocato Luigi Li Gotti, ex politico di sinistra, molto vicino a Romano Prodi, conosciuto per aver difeso pentiti del calibro di Buscetta, Brusca e altri mafiosi». Effettivamente, il 23 gennaio il penalista ed ex parlamentare d’origine calabrese ha presentato in Procura a Roma un esposto a carico dei quattro esponenti dell’esecutivo, chiedendo ai pm di piazzale Clodio di svolgere «indagini sulle decisioni adottate e favoreggiatrici di Almasri, nonché sulla decisione di utilizzare un aereo di Stato per prelevare il catturato (e liberato) a Torino» e condurlo in Libia. «Mi sono limitato a presentare un atto, a raccontare cosa è accaduto allegando articoli di stampa», fa sapere lui stesso. Mentre la premier riepiloga la vicenda nel video: «I fatti sono noti. La Corte penale internazionale, dopo mesi di riflessione, emette un mandato di cattura internazionale nei confronti del capo della polizia di Tripoli». Curiosamente, ironizza Meloni, «lo fa proprio quando questa persona stava per entrare in territorio italiano, dopo che aveva serenamente soggiornato per circa 12 giorni in altri 3 Stati europei». La richiesta, continua Meloni, «non è stata trasmessa al ministero italiano della Giustizia, e per questo la Corte d’appello di Roma decide di non procedere alla sua convalida». A quel punto, «con questo soggetto libero sul territorio italiano, piuttosto che lasciarlo libero, noi decidiamo di espellerlo e rimpatriarlo immediatamente, per motivi di sicurezza, con un volo apposito, come accade in altri casi analoghi».

L’irritazione del governo: una ripicca per la riforma

La strategia mediatica meloniana, come sempre, è quella di non giocare mai in difesa, ma sempre al contrattacco. E la diffusione del filmato, così come il tono perentorio, servono a trasmettere all’opinione pubblica uno stato d’animo sicuro e nient’affatto timoroso o preoccupato. Sotto traccia, tuttavia, nel governo si respira irritazione non solo per l’apertura dell’inchiesta ma anche per il timing dell’avviso di garanzia, che arriva - considera una fonte di maggioranza - non solo nel giorno dell’esito delle elezioni del nuovo “parlamentino” dell’Associazione nazionale magistrati, con cui è in corso uno scontro rovente sulla riforma dell’ordine giudiziario, ma soprattutto alla vigilia del duplice intervento in Parlamento sulla vicenda Almasri di Nordio e Piantedosi. Intervento che in serata, i due ministri decidono di rinviare, comunicandolo ai presidenti delle Camere (mentre si terrà l’audizione del Guardasigilli al Copasir, la cui attività è secretata). Dai loro dicasteri non trapelano commenti ufficiali. E neppure da Palazzo Chigi dove, poco dopo la diffusione del video, si svolge come da programma il Consiglio dei ministri. A parlare è il vicepremier forzista Antonio Tajani, che sta «dalla parte» degli indagati, difende «la separazione dei poteri» e condanna «scelte che suonano come una ripicca per la riforma della giustizia». Acuminato pure il commento del vicepremier leghista Matteo Salvini: «Vergogna, vergogna, vergogna. Lo stesso procuratore che mi accusò a Palermo ora ci riprova a Roma con il governo di centrodestra. Riforma della Giustizia, subito!». Mentre il viceministro della Giustizia, Francesco Paolo Sisto, liquida l’indagine così: «Ci aspettiamo un gesto conseguente di immediata richiesta di archiviazione» perché è un fatto «lontano anni luce dall’essere ritenuto assimilabile a un peculato e a un favoreggiamento».

Il prossimo passo:il Tribunale dei ministri

In una nota serale, l’Anm precisa che tecnicamente non è di un avviso di garanzia che si tratta, ma di «una comunicazione d’iscrizione, un atto dovuto» in base alla legge costituzionale del 1989, che impone al procuratore della Repubblica (in questo caso Lo Voi), ricevuta la denuncia nei confronti di un ministro e «omessa ogni indagine», di trasmettere entro 15 giorni gli atti al Tribunale dei ministri (un collegio di tre magistrati), dandone immediata comunicazione ai soggetti interessati, affinché possano presentare memorie al collegio o chiedere di essere ascoltati. La trasmissione degli atti pare che sia già avvenuta contestualmente alla comunicazione alla premier. Ora il Tribunale avrà 90 giorni per accertare i fatti e decidere se archiviare o se procedere, rimandando gli atti in procura e chiedendole di inviarli alle Camere competenti per l’autorizzazione a procedere. Insomma, la vicenda è appena all’inizio.
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