La contemporaneità ribelle di Olly, fra Genova e Sanremo
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Se dici Genova pensi inevitabilmente a una delle più importanti scuole di cantautorato italiano: poeti come Bruno Lauzi, Gino Paoli, Umberto Bindi e Fabrizio De André, senza dimenticare – visto che qui di Sanremo si parla – Luigi Tenco. Ma esiste una nuova scuola di cantautori genovesi che piace ai ragazzi e che dal festival sta ottenendo molto: un suo rappresentante è Alfa, che riempie i palazzetti, e uno è Olly, che si sta avvicinando allo stesso successo (e ora è dato fra i favoriti per la vittoria al festival, secondo i bookmakers).
Entrambi hanno dalla loro di essere perfettamente contemporanei, nel modo in cui raccontano storie in cui la loro generazione si rispecchia bene. Ma con uno stile che è anti-violento, che sembra in perfetta contrapposizione con altri fenomeni generazionali, forse più legati ad altre città (o bisognerebbe scrivere “altre periferie”).
È una scelta consapevole? Forse sì, ma molto più probabilmente è solo un modo diverso di interpretare la musica. Alfa, in una delle sue canzoni, dice di avere «playlist incoerenti, un po’ Battisti e un po’ Bad Bunny». Olly invece, nella sua intervista a Domani, dice che molti aspetti si sente lontano dalla sua generazione, di essere vecchio dentro: «Probabilmente rappresento di più, con la mia costanza, la voglia di avere un sogno e di crederci».
Post-Covid
Ovviamente, a essere onesti questa voglia di sognare è perfettamente generazionale: come può essere diversamente per chi ha vent’anni e ha di fronte a sé ancora una quantità infinita di possibilità? Però è anche vero che è un concetto più largamente umano, che in qualche modo può unire figli e genitori. Quando si smette di inseguire un sogno? Forse mai.
A essere più saldamente generazionale, in Olly, è allora questa connessione che si intravede in molte canzoni con la fragilità, anche quando si scrive d’amore. Un po’ si ride e un po’ si piange, come canta Olly nel suo ritornello. C’è chi ha teorizzato che esista tutta una letteratura post-Covid, forgiata in quel senso del precario lasciato dalla pandemia.
In questo caso, con “letteratura” non si intendono solo prodotti come racconti e romanzi (che pure non mancano). È più un sentire comune che ha trovato modi diversi di esprimersi, compresa ovviamente la musica. E compresa la “Balorda nostalgia” con cui Olly torna a Sanremo.
Balorda nostalgia
È questa la temperie che dà vita artistica a Federico Olivieri, in arte Olly, nato . Volendo c’è pure qualche insegnamento che gli deriva dal rugby (che a un certo punto gli avrebbe potuto dare un altro tipo di gloria nazionale): il fatto di cercare comunque dei compagni di squadra per affrontare le avversità.
La nostalgia, poi, è per sua natura un sentimento fortemente contemporaneo: anche di questo si è scritto molto, spesso sottolineando come la nostalgia della Generazione Z è spesso per un tempo indefinito e magari neppure vissuto.
Genova
Per chi si è distratto, Olly dopo essere stato all’Ariston un anno fa ha vinto un disco di platino, ha fatto un tour di estremo successo, ha cantato con Angelina Mango, e pubblicato un album intitolato “Tutta vita”.
Sembrano passate ere geologiche dal 2017, quando su YouTube veniva pubblicato un video – comprensibilmente imbarazzante – di uyna canzone intitolata Chiara Ferragni e cantata proprio dal duo Alfa e Olly (ma chi non ha fatto cose imbarazzanti a 16 anni?).
La nuova scuola genovese (che include anche Bresh, pure lui a Sanremo) sta crescendo bene. Paragonarla ai cantautori del passato non avrebbe ovviamente senso, anche perché in Olly si sente forse più l’influenza di Post Malone che di De André, ma è probabile che a Genova si continui a respirare una certa atmosfera: «Genova – cantava Lauzi – è un’idea come un’altra».
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