Mario Vanacore, figlio del portiere di via Poma: «Ho visto Simonetta ...
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diRedazione Roma
Il figlio di Pietrino Vanacore, portiere dello stabile di via Poma dove fu ritrovata morta la 20enne, si difende: «Basta calunnie e diffamazioni»
«Ho visto quella ragazza solo da morta, basta con calunnie e diffamazioni». Lo dice in un'intervista a La Stampa Mario Vanacore, figlio di Pietrino, il portiere dello stabile di via Poma a Roma dove il 7 agosto del 1990 venne uccisa Simonetta Cesaroni. Mario Vanacore, oggi 64enne, titolare di una ditta di Torino, parla e si difende con l'intento di allontanare il più possibile da sé i sospetti su un suo presunto coinvolgimento nel delitto, che dopo il proscioglimento del padre (suicida nel 2010) è rimasto un giallo irrisolto.
L'ultima pista puntava proprio a Mario Vanacore, in un'informativa dei carabinieri - che però il pm non ha ritenuto sufficiente per approfondire le indagini - descritto come killer spietato, che quel giorno di agosto si sarebbe recato nel palazzo in cui la ventenne lavorava come segretaria per telefonare a scrocco e invece, trovandosi davanti Simonetta, «la obbliga a spogliarsi», scrivono i carabinieri, «e poi afferra l'arma del delitto». Il figlio del portiere però respinge con forza le accuse contenute nel dossier dei militari.
«Ce l'hanno con la mia famiglia», pensa Vanacore figlio, che ha già «presentato esposti per calunnia e diffamazione perché sono stanco di essere indicato come il responsabile del delitto di via Poma». A La Stampa racconta anche il ritrovamento del corpo: «Io ricordo tutto - racconta -, a Roma ero arrivato per combinazione proprio quel giorno, ero presente quando abbiamo ritrovato la ragazza. Con mia moglie e mia figlia abbiamo viaggiato di notte perché non avevamo l'aria condizionata, siamo arrivati alle 9». Nel tardo pomeriggio, quando Simonetta fu uccisa, «ero con mio papà e la mia matrigna, abbiamo pranzato e siamo andati a dormire, ci siamo alzati verso le 17 e siamo andati in farmacia, dal tabaccaio e in altri luoghi». Ricordi apparentemente nitidi anche nei dettagli: «Papà mi aveva fatto vedere un carrettino verniciato di marrone, la polizia aveva detto che erano macchie di sangue, in realtà era vernice».
Vanacore smentisce anche l'ipotesi delle telefonate gratis e si chiede, anzi, perché la sua agenda telefonica - ritrovata tra gli oggetti nell'ufficio - sia «sparita: apparteneva a mio padre, dicono che fu ritrovata dal papà di Simonetta tra gli oggetti personali della figlia e restituita in questura, ma stranamente di quell'agenda non c'è più traccia». Alla domanda su chi sarebbe, secondo lui, il killer, Vanacore non risponde, ma dice di aver «creduto al coinvolgimento dei servizi segreti» e ricorda il suicidio del padre, che nel suo biglietto di addio scrisse «20 anni di sofferenze e sospetti ti portano al suicidio»: «Quelle parole - conclude oggi il 64enne - hanno un suono amaro, stiamo rivivendo quei momenti».
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6 gennaio 2024 ( modifica il 6 gennaio 2024 | 10:17)
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