Per la vertenza Taranto il tempo ormai è scaduto
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Sono passati oltre 11 anni dal sequestro, finalizzato alla confisca perché fonte di malattia e morte, dello stabilimento siderurgico Ilva di Taranto e abbiamo perso il conto di tutte le settimane decisive che si sono chiuse senza alcuna decisione. Nel frattempo tutto è cambiato nel mondo dell’acciaio, con i forni elettrici che sono diventati una regola produttiva e il ciclo integrale - utilizzato in riva allo Jonio - considerato un residuato bellico industriale, a cui ovviare con un piano industriale di 4-5 miliardi di euro non si sa bene a carico di chi. Tutto è cambiato salvo le sofferenze dei dipendenti dell’acciaieria, fiaccati da oltre un decennio di ammortizzatori sociali dall’inevitabile effetto deprimente sul tenore di vita delle famiglie operaie e su quello dell’economia tarantina, e le perenni difficoltà delle imprese dell’indotto, schiacciate dai pagamenti singhiozzo, dalle ferite non ancora rimarginate del crack del 2015 - tramite l’ammissione all’amministrazione straordinaria della vecchia società Ilva - e impaurite dallo spauracchio di una nuovo - stavolta tombale - bidone. È cambiato finanche il cielo di Taranto, grazie al calo vertiginoso della produzione.
Che fare? Di chi è la colpa? Se ne leggono, da 11 anni, di ogni tipo. Non è ora il momento di fare processi - oltre a quelli già imbastiti nelle sedi proprie - e di distribuire pagelle. Il passato - sul fronte Ilva costellato di orrori, errori e favori - non lo cambia nessuno e dunque non ha alcun effetto pratico scrivere che è stato sbagliato espropriare l’azienda alla famiglia Riva nel giugno del 2013, che invece avrebbe dovuto essere protagonista del risanamento; che non andava poi affidata ad ArcelorMittal nella gara del 2016 giacché c’era il rischio che il primo produttore di acciaio del mondo stesse mettendo le mani sulla più grande acciaieria europea per toglierla dal mercato; che, ancora, la famosa causa del secolo avviata dal governo Conte si è chiusa inspiegabilmente tutta a favore della multinazionale.
Verità ormai storiche - e documentabili - che hanno determinato la situazione odierna ma che ormai appartengono all’archivio.
Ora servono decisioni, chiare e nette. Lo Stato deve decidere se l’acciaieria di Taranto è ancora strategica, quale futuro occupazionale attende i dipendenti della galassia ex Ilva, la prospettiva stessa della città dei due mari, destinataria d a anni di grandi annunci - come il famoso miliardo di euro del mai varato decreto Taranto - puntualmente smentiti dai fatti.