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Taranto, pesca illegale e disastro ambientale chiesto il processo per ...

Taranto pesca illegale e disastro ambientale chiesto il processo per
L'inchiesta «Kalimera» sulla pesca di oloturie e datteri di mare avrebbe causato secondo la procura di Taranto un nuovo disastro ambientale nei mari di Taranto

TARANTO - Sono 23 gli imputati coinvolti nell'inchiesta «Kalimera» sulla pesca di oloturie e datteri di mare che avrebbe causato secondo la procura di Taranto un nuovo disastro ambientale nei mari di Taranto e per i quali il pubblico ministero Mariano Buccoliero ha chiesto il rinvio a giudizio.

Le indagini condotte dei militari della Capitaneria di porto a novembre 2021 hanno portato all'arresto di 17 persone, tutte finite ai domiciliari. Per la gran parte di loro le accuse erano di aver costituito una vera e propria associazione a delinquere che nel giro di pochi anni aveva asportato dalle acque ioniche tonnellate di esemplari di oloturie tanto che causare «un grave danno alla biodiversità presente nei tratti di mare interessati, nonché l’alterazione grave ed irreversibile dell’ecosistema marino». L’indagine è partita nel 2019 dopo le denunce dell’attivista Luciano Manna attraverso le colonne di Veraleaks.org. Per l’accusa al vertice del gruppo c’erano il 38enne tarantino Ivan Cardellicchio, difeso dall’avvocato Andrea Maggio, e il 61enne Vito Modesto Colella, originario di Polignano a Mare nel barese assistito dall'avvocato Adriano Minetola.

I due, secondo quanto emerso, coordinavano le attività dei pescatori che venivano retribuiti sulla base della quantità di prodotti che riuscivano a raccogliere: «sono quest’ultimi – aveva scritto nell’ordinanza il gip Benedetto Ruberto – a porre materialmente in essere l’attività delittuosa di pesca delle oloturie, distruggendo e deturpando in maniera irreversibile l’ecosistema marino, sotto le direttive e le indicazioni dei loro due capi». Il sistema era semplice e ben organizzato: Cardellicchio organizzava il lavoro dei sommozzatori con particolare attenzione agli orari di pesca e alla distribuzione dei compiti, e poi provvedeva alla raccolta del pescato. Colella fungeva invece da intermediario e trasportatore del prodotto che finiva soprattutto nell’hinterland barese e brindisino per essere poi rivenduto all’estero dove le oloturie sono considerate non solo una prelibatezza dal punto di vista culinaria, ma sono un prodotto fortemente ricercato per le imprese del settore cosmetico e farmaceutico. Secondo gli scienziati, inoltre, le oloturie sono «biorimediatori naturali» cioè organismi «capaci di fornire un servizio di depurazione degli inquinanti batterici presenti nell’ambiente marino». Non meno trascurabile del danno ambientale, però, è l’aspetto dei rischi per la salute umana: «il danno alla salute umana non è da escludersi – aveva infatti spiegato il gip Ruberto – se si considera che il pescato sfugge ad ogni tipo di controllo sanitario e potrebbe essere assoggettato a contaminazione di tipo batteriologico oltre che chimica da metalli pesanti, diossine o Pcb».

La prima udienza preliminare è fissata per il prossimo 7 dicembre, giorno in cui il folto collegio difensivo, composto tra gli altri, oltre che dagli avvocati Maggio e Minetola, anche dai legali Gianluca Sebastio, Alessandro Scapati, Pasquale Blasi, Patrizia Boccuni, Daniele Lombardi, Giuseppe Leoni, Salvatore Maggio e Fiorella Gargaro, dovrà chiedere eventuali riti alternativi come l'abbreviato o il patteggiamento.

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