La Strage di Ustica non ha più misteri
“Guarda, cos’è?”: sono le 20.59 del 27 giugno 1980, 43 anni fa, e a pronunciare queste parole è uno dei due piloti di un Dc9 di una compagnia aerea che non esiste più, l’Itavia. Il volo è il numero IH870, decollato meno di un’ora prima da Bologna e diretto a Palermo. A ripulire l’audio della scatola nera, per distinguere queste parole, è stata RaiNews24, in un’inchiesta di due anni fa, a firma Pino Finocchiaro.
“Guarda cos’è?”: pochi istanti dopo, il Dc9 precipita in mare, al largo dell’isola di Ustica. Muoiono tutti, equipaggio e i passeggeri, 81 persone. I resti del velivolo saranno recuperati solo otto anni dopo e oggi sono esposti in un museo, a Bologna. Tre settimane più tardi, sulla Sila, sull’Appennino calabro, vengono ritrovati i resti di un aereo militare libico, un Mig 23.
Il pomeriggio seguente, alla redazione romana del Corriere della Sera, arriva una telefonata da qualcuno che si accredita come componente dei Nuclei armati rivoluzionari (Nar), una delle principali organizzazioni neofasciste attive ai tempi in Italia. Dice che sull’aereo c’era un loro camerata, portava con sé un’ordigno, è esploso per sbaglio. Tutto falso, come sarà dimostrato. È il primo depistaggio.
In parallelo, iniziano le indagini della magistratura e quelle di una Commissione d’inchiesta del ministero dei Trasporti. Nella relazione di quest’ultima, il 16 marzo 1982, si conclude che non è possibile stabilire se sia stato un missile o una bomba. Si esclude al contempo l'ipotesi del cedimento strutturale, troppo tardi per l'incolpevole compagnia Itavia, che pochi mesi dopo l'incidente era fallita, travolta dallo scandalo.
Il 6 maggio 1988 arriva una telefonata anonima, in diretta, alla trasmissione di Raitre Telefono giallo, condotta da Corrado Augias. Poco prima in studio si era parlato di un buco di alcuni minuti nelle tracce della stazione radar di Marsala. L’uomo al telefono si qualifica come “aviere in servizio a Marsala la sera dell'evento della sciagura del DC-9” e di quei tracciati dice: “Noi li abbiamo visti perfettamente. Soltanto che il giorno dopo, il maresciallo responsabile del servizio ci disse, praticamente, di farci gli affari nostri e di non avere più seguito in quella vicenda. La verità è questa: ci fu ordinato di starci zitti”. Alla trasmissione di Augias partecipava anche Giuliano Amato, che oggi è tornato sulla strage di Ustica con le scottanti rivelazioni sul coinvolgimento dell'Aeronautica francese e del missile che, a suo dire, avrebbe abbattuto il Dc9 Itavia.
Intanto, il recupero del relitto porta alla luce evidenze tali da rendere impossibile che sia trattato di una bomba: molti oblò sono integri, con un’esplosione dall’interno sarebbero dovuti andare tutti in frantumi. Il wc e la stiva, i due luoghi dove secondo le tesi avanzate dall’Aeronautica militare italiana e da diversi uomini di Stato, sarebbe stato piazzato l’ordigno, non presentano segni compatibili con un’esplosione dall’interno. A queste evidenze si aggiunge il fatto che l’aereo decollò con quasi due ore di ritardo, e per un ipotetico attentatore sarebbe stato quantomeno complicato tenerne conto, programmando un timer.
Ciononostante, la tesi della bomba sopravvive a lungo: nel 1994 a sostenerla è un collegio internazionale di esperti, incaricato dal giudice istruttore Rosario Priore. Gli sviluppi dell’inchiesta romana andranno però in direzione di uno scenario diverso, evidenziando nel 1997 la presenza di aerei militari quella sera nei cieli sopra Ustica.
Strage di Ustica: Il relitto del Dc9 Itavia esposto al Museo per la Memoria di Ustica a Bologna
C’è un intero capitolo della vicenda del Dc9 Itavia che desta ancor più preoccupazione e alimenta il senso di “mistero” che da sempre aleggia sulla tragedia dell’aereo caduto a Ustica: una concatenazione di morti “sospette”, di suicidi “strani” (eventi, a rigor di logica, normalissimi e verosimili, ma sui quali avanzare qualche dubbio è al tempo stesso quantomeno legittimo).
I suicidi di Dettori e Parisi
Partiamo dai suicidi: il maresciallo Mario Alberto Dettori, in servizio la sera del 27 giugno 1980 presso il radar di Poggio Ballone (Grosseto), aveva visto passare il velivolo sul tracciato. Fu trovato impiccato, in modo “innaturale” – come sottolinearono gli inquirenti –, il 31 marzo 1987. In base a quello che poi raccontò la vedova, Dettori dopo la sera del disastro “cambiò completamente”, era preoccupato e in preda a “manie di persecuzione”, “rovistava in casa alla ricerca di microspie” e si lasciò sfuggire, testuali parole, “Sono molto scosso... Qui è successo un casino... Qui vanno tutti in galera!”. Il maresciallo si era confidato anche con la cognata e con un suo superiore, il capitano Cicarella, ribadendo i suoi sospetti e le sue paure.
Anche il maresciallo Franco Parisi fu trovato morto, impiccato, il 21 dicembre 1985. Pochi giorni prima aveva ricevuto un invito a comparire da parte del Tribunale per fornire utili elementi d’indagine. Parisi era in turno la mattina del 18 luglio 1980, quando fu ritrovato sulle montagne della Sila il Mig libico.
Su queste due morti sospette, il giudice Rosario Priore, titolare dell’inchiesta, ha sottolineato tra le altre cose che “entrambi” erano in servizio “con funzioni delicatissime, rispettivamente la sera e la notte del 27 giugno e il mattino del 18 luglio”. Il giudice Priore scrisse che, “venuti a conoscenza di fatti diversi dalle ricostruzioni ufficiali, rivelano la loro conoscenza in ambiti strettissimi, ma non al punto tale da non essere percepita da ambienti che li stringono od osteggiano, anche in maniera pesante. E così ne restano soffocati”. Quindi, per il titolare dell’inchiesta, non potendo provare che si sia trattato di omicidi veri e propri, quelle morti – se di suicidi si trattò veramente – “furono determinati da stati psichici di profonde prostrazioni connesse con gli eventi”.
Ma di suicidio sospetto si deve parlare anche in relazione alla morte del maggiore medico Gian Paolo Totaro, trovato impiccato il 2 novembre 1994. Totaro era in contatto con diversi militari coinvolti direttamente o indirettamente con la vicenda di Ustica, in primis con Mario Naldini e Ivo Nutarelli.
L’incidente di Ramstein
Mario Naldini e Ivo Nutarelli erano due piloti dell’Aeronautica, in servizio presso la base di Grosseto e in volo la sera del 27 giugno 1980. Lanciarono l’allarme di emergenza generale. La loro testimonianza, prevista dall’inchiesta di Priore, avrebbe quindi fornito utili elementi per far luce su quello che accadde nei cieli del Tirreno la sera del disastro. Oltretutto, i due piloti – che viaggiavano insieme su un F-104 Lockheed – avrebbero potuto offrire un’utile testimonianza in relazione alle dichiarazioni del loro allievo e collega, Algo Giannelli, in volo la sera del 27 giugno su un altro F-104 e apparso, a detta di Priore, “sempre terrorizzato”. Nutarelli e Naldini restarono vittime di un tragico incidente nella base aerea militare di Ramstein, in Germania, scontrandosi in volo a bordo dei rispettivi velivoli.
Incidenti (molti stradali) e omicidi
In un altro incidente aereo, scompare il tenente colonnello Sandro Marcucci: è il 2 febbraio 1992. Ex pilota dell’Aeronautica, morì a bordo del velivolo su cui viaggiava “per un errore”, come scritto inizialmente nella perizia che archiviava il caso. Salvo poi prospettare l’ipotesi di omicidio, come avanzò il pm di Massa che riaprì il fascicolo, nel 2013.
Il colonnello Pierangelo Tedoldi (morto il 3 agosto ’80, stava per assumere il comando della base di Grosseto); il sindaco di Grosseto Giovanni Battista Finetti (morto il 23 gennaio 1983, era in possesso - secondo i retroscena - di importanti conoscenze sui fatti in questione); i marescialli Ugo Zammarelli (morto il 12 agosto 1988, in servizio presso il Sios di Cagliari) e Antonio Pagliara (deceduto il 2 febbraio ’92, controllore della Difesa aerea a Otranto). Tutti quanti furono vittime di incidenti stradali, per lo più risultati eventi “casuali”.
Il maresciallo Antonio Muzio (1° febbraio 1991) e il generale Roberto Boemio (12 gennaio 1993) furono vittime di omicidi: il primo era in servizio presso la torre di controllo dell’aeroporto di Lamezia Terme; il secondo aveva già reso importanti dichiarazioni su quanto era di sua conoscenza in merito alla tragedia.
Giuliano Amato, l'ex premier tornato oggi sulla vicenda di Ustica
A settembre 2000 vanno a processo quattro generali dell’Aeronautica, accusati di “concorso in alto tradimento mediante attentato continuato contro gli organi costituzionali”, in relazione ai depistaggi delle indagini: sette anni e tre gradi di giudizio dopo, i generali saranno tutti assolti e le altre posizioni prescritte.
Nel 2008 i familiari delle vittime citano in sede civile i ministeri della Difesa e dei Trasporti per le “omissioni e negligenze” che avrebbero ostacolato la ricostruzione giudiziaria dei fatti.
Lo stesso anno, l’ex capo dello Stato, Francesco Cossiga, che all’epoca dei fatti era presidente del Consiglio, in diverse dichiarazioni a organi di stampa afferma che “Giuliano Amato, allora sottosegretario, mi disse che erano stati i francesi ad abbattere l'aereo di Ustica”: i due verranno sentiti dalla Procura di Roma, che deciderà di riaprire l’inchiesta. Non è chiaro cosa abbia spinto Cossiga a cambiare versione, dopo anni passati a parlare di “cedimento strutturale” e “normale incidente aereo”.
Due anni dopo sarà ancora più specifico, intervistato dagli autori del film-inchiesta Sopra e sotto il tavolo, e parlerà esplicitamente di “un aereo francese” che “si era messo sotto il Dc9, per non essere intercettato dal radar” di un “aereo libico che stava trasportando Gheddafi”, l'uomo che detenne in potere in Libia dal 1969 al 2011, “a un certo punto lancia un missile per sbaglio, volendo colpire l’aereo del presidente libico”.
Il 12 settembre 2011 termina il processo civile contro i ministeri della Difesa e dei Trasporti, con la condanna, confermata negli anni successivi dalla Cassazione, a risarcire oltre 100 milioni ai parenti delle vittime. Nelle motivazioni, i giudici accreditano con fermezza la ricostruzione per cui quella sera sopra il Tirreno ci fosse un’azione di guerra, che coinvolgeva tre diversi veicoli militari: “Tutti gli elementi considerati - scrive la giudice, Paola Proto Pisani - consentono di ritenere provato che l'incidente si sia verificato a causa di un intercettamento, realizzato da parte di due caccia, di un velivolo militare precedentemente nascostosi nella scia del Dc9, al fine di non essere rilevato dai radar, quale diretta conseguenza dell'esplosione di un missile lanciato dagli aerei inseguitori contro l'aereo nascosto, oppure di una quasi collisione verificatasi tra l'aereo nascosto ed il Dc9”.
Il relitto dell'aereo Dc9 della compagnia aerea italiana Itavia, precipitato vicino all'isola di Ustica il 27 giugno 1980
Il 20 aprile 2014 l’allora presidente del Consiglio Matteo Renzi annuncia l’avvio della desecretazione dei documenti in possesso dello Stato sulle stragi, Ustica compresa.
Il 20 dicembre 2017 il Corriere della Sera e la trasmissione di La7 Atlantide riportano la testimonianza di Brian Sandlin, che all’epoca dei fatti era marinaio sulla portaerai americana Saratoga: quella sera, afferma, assistette dalla plancia della nave ancorata vicino al Golfo di Napoli, al rientro di due caccia Phantom disarmati, scarichi. Sarebbero serviti ad abbattere altrettanti Mig libici (come quello ritrovato in rottami sulla Sila) in volo proprio lungo la traiettoria aerea del Dc-9. "Quella sera - racconta l'ex marinaio - ci hanno detto che avevamo abbattuto due Mig libici. Era quella la ragione per cui siamo salpati: mettere alla prova la Libia”.
Le indagini aperte nel 2008 non sono mai state chiuse. Un anno fa Daria Bonfietti, presidente dell'Associazione dei parenti delle vittime della strage di Ustica, ha fatto appello alla magistratura perché pervenga in fretta alle conclusioni, che permetterebbero di rendere pubbliche le risposte alle rogatorie internazionali avanzate nei confronti di Stati Uniti e Francia, Paesi che sarebbero informati sui movimenti degli aerei militari quella sera sopra Ustica.
Stando a quanto affermato nei giorni scorsi, sempre da Bonfietti, la desecretazione dei documenti è stata completata: “Si può definitivamente affermare che non vi sono carte segrete su Ustica, tutto è depositato secondo le direttive date, e si possono spazzare via tutte le falsità, gli evidenti depistaggi, le false piste con le quali si è voluto nascondere, soprattutto agli occhi dell'opinione pubblica, la verità, imbastendo campagne di pura disinformazione”.
“Guarda, cos’è?”: era un missile o un aereo da guerra. 43 anni dopo i fatti, la storiografia non ha più dubbi, nonostante alcuni militari e uomini politici restino attaccati alla tesi della bomba, sconfessata in più sedi. La giustizia italiana è riuscita a metterlo nero su bianco solo in una sentenza civile, passata in giudicato. Chissà se si potrà mai assistere a un processo penale.